Per poter sfruttare al meglio i vantaggi (fiscali e non solo) che derivano dall’utilizzo del buoni pasto, è bene precisare alcuni “dettagli” su cui alle volte si può generare confusione sia, nelle Aziende utilizzatrici del servizio, sia, a livello di Consulenza.
Uno dei punti più trascurati (su cui spesso si tende a sorvolare, evitando di approfondire la materia, offrendo, così, spazio ad interpretazioni ed applicazioni anche molto difformi tra loro), è quello della estensione del beneficio legato al buono pasto, alla generalità dei dipendenti dell’Azienda, piuttosto che ad una sua parte più circoscritta (gruppo, categoria, ecc.).
BUONO PASTO SI MA NON PER TUTTI:
Se, in effetti, quando sono stati introdotti in Italia, i buoni pasto sul finire degli anni Settanta, l’intendimento del legislatore era quello di offrire uno strumento di sostegno del reddito rivolto alla “generalità dei lavoratori” senza particolari distinzioni ne, tantomeno, discriminazioni di sorta; con il passare del tempo la giurisprudenza e la normativa hanno preso, invece, via via, atto del progressivo mutamento nelle condizioni del mercato del lavoro.
Sicché si è assistito ad un progressivo ma sostanziale cambiamento di indirizzo.
In altri termini, viene riconosciuto che, anche all’interno di una singola realtà aziendale, ci possano essere situazioni di lavoro estremamente diverse fra loro; per orari, mansioni, responsabilità, la stessa forma del contratto di lavoro riferito al singolo lavoratore.
Ad oggi, il principio di base di equità e generalità dello strumento è stato ampiamente rivisto se non, addirittura, stravolto, essendo, ormai maggiormente rivolto ad evitare situazioni di “privilegio ad personam” che altro.
Per fruire della detassazione i buoni pasto devono essere rivolti alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi.
Come è stato precisato dall'amministrazione finanziaria (circolare 23 dicembre 1997 n. 326/E e circolare 16 luglio 1998 n. 188/E), per categorie omogenee non devono intendersi solo quelle previste dal codice civile (dirigenti, operai, ecc.), ma anche tutti i dipendenti di un certo tipo, ad esempio tutti i lavoratori con una certa qualifica o di un certo livello.
L'interpretazione data dalla Agenzia delle Entrate è comunque piuttosto flessibile e volta ad evitare che vi siano concessioni di benefits ad personam.
Il responsabile del personale potrà ben ritagliare gruppi omogenei in base alle esigenze aziendali e dei lavoratori.
Si conferma, ai fini della determinazione del reddito di impresa, che l'acquisto dei buoni pasto è completamente deducibile e pertanto (come confermato dalle Entrate nella circolare n° 6 del 3 marzo 2009) non sconta il limite del 75% fissato per le spese di vitto e alloggio dall'articolo 109, comma 5, del Tuir.
Approfondimenti:
Buoni Pasto:
Buoni Regalo:
Welfare 2.0:
I LIMITI DELL’AGEVOLAZIONE:
L'agevolazione riguarda sia il regime fiscale, sia gli oneri previdenziali, valendo le stesse esclusioni e limiti dettati dall'articolo 51 del Tuir anche ai fini del calcolo dell'imponibile contributivo (principio di omogeneità fra imponibile fiscale e previdenziale).
Il valore da prendere in riferimento è quello nominale, ossia quello facciale indicato sul buono pasto. Peraltro, ove gli importi complessivi giornalieri fossero più alti di quelli appena citati, gli stessi andrebbero tassati in busta paga e assoggettati ai relativi oneri contributivi, ma solo per l'eccedenza.
L’ORARIO DI LAVORO:
Per il calcolo delle soglie di deducibilità, la normativa non fa alcun riferimento “all’orario di lavoro”; i limiti sono validi, anche per lavoratori part time; non è, quindi, richiesto alcun riproporzionamento in base all'orario di lavoro.
Anzi, le stesse franchigie sono riconosciute anche nel caso in cui l'articolazione dell'orario di lavoro non prevedesse il diritto alla pausa pranzo (risoluzione agenzia delle Entrate 30 ottobre 2006 n. 118; vedi anche art. 285 DPR 207 del 5 ottobre 2010, o anche, DPCM 18 novembre 2005 art. 5, comma 1, lett. c).